Il Castello: Villa Sopranzi

La Villa Sopranzi (ora Istituto Pavoni) è un edificio che affonda le sue prime radici nel Settecento e che, così come si mostra ancora oggi, trova la sua connotazione artistica intorno al 1850. Per valutarne l'importanza basti citare l'architetto che firmò il progetto della prima grande ristrutturazione: Giuseppe Jappelli, uno dei più importanti dell'epoca. Questa villa ben rappresenta il ruolo strategico che rivestiva Tradate per i turisti milanesi di alto livello: nel XVIII secolo appartenne a Bartolomeo Sopranzi, nobile meneghino e cassiere dello Stato che l'adibì a propria meta di villeggiatura; il secolo successivo divenne proprietà di Agostino Sopranzi, membro del Comitato generale della pubblica sicurezza e sindaco di Milano, che decise di sistemarla secondo i suoi gusti. Ne usci un raffinato esempio di neogotico. In parte modificato dalla restaurazione posteriore al 1949, quando la struttura - dopo essere passata alle famiglie prima del conte Nicola Concina e quindi degli Stroppa - fu acquistata dai Pavoniani. La villa si trova alla sommità di una collina e si affaccia sull'omonima via. Gli originari torrioni merlati oggi si presentano coperti da un tetto a falde e introducono, attraverso una strada a curve, al cuore dell'edificio. Per quanto riguarda le decorazioni esterne volute dallo Jappelli, ancora ben visibili sono una serie di archi Tudor e alcune sculture di guerrieri. La pianta rettangolare contiene un doppio cortile intemo: uno che corrisponde all'ingresso, l'altro che si apre sul parco. Tra le mura di Villa Sopranzi si possono ammirare parti molto suggestive. Come, per esempio, una galleria ad arcate e volte decorate e il monumentale portale di legno che si apre su un lato di essa e da cui si entra in una cappella. Da segnalare, poi, un salone con pavimento a mosaico e camino in marmo realizzati da Giuseppe Bottinelli: l'opera fu premiata all'Esposizione Universale di Londra nel 1851. Non resta dunque che fare una visita, sempre possibile su richiesta.

Oltre mezzo secolo di presenza pavoniana a Tradate

La mattina del lunedì 20 giugno 1949 un camion Dodge targato BS sale la serpentina del Castello Stroppa; i buoni Tradatesi non ci fanno molto caso. E' dal novembre 1942 che l’ex Castello Stroppa ospita parecchi inquilini: dai militari paracadutisti ai profughi ebrei della Federazione Sionistica. Ma i nuovi abitatori hanno un’altra divisa, quella clericale; sono cinque religiosi Pavoniani: fr. Remo Oberthaller il guidatore del camion e con lui con spirito pionieristico quattro chierici (Radice, Cavalletti, Botto, Borzaga); sono giunti dalla lontana Brescia, avanguardia di altri seminaristi della Congregazione religiosa dei Figli di Maria Immacolata, fondata dal Venerabile Padre Lodovico Pavoni nel 1847. Sono passati ormai cinquant’anni e quasi non ci si accorge che i ricordi si fanno un poco alla volta storia, una storia che ha coinvolto i Pavoniani, ma anche la città di Tradate. Un coinvolgimento, da parte della città, fatto all’inizio di semplice curiosità ("Cosa succederà al Castello?"), di perplessità (come quando si dovette togliere la "merlatura" che svettava sulle due torri per una necessaria ristrutturazione), di benevola discrezione di fronte a quei giovani che si preparano a diventare preti, di reciproca conoscenza (soprattutto nelle solenni occasioni religiose e civili)

e di crescente reciproca stima. Già altre due comunità educative ospita Tradate: quella dell’Istituto delle Figlie della Carità, Canossiane fondato nel 1878 per l’istruzione religiosa ed elementare delle ragazze e per l’assistenza all’ospizio Barbara Melzi e il Collegio Arcivescovile Bentivoglio (una volta Galvalisi) fondato nel 1923 per la formazione cristiana e culturale di tanti giovani; l’Istituto Lodovico Pavoni vuol essere un Seminario e giunge quasi subito ad offrire tutto il solito curriculum ai ragazzi e giovani che vogliono farsi pavoniani (circa 150): tre classi medie, quarta e quinta ginnasiale, tre di Liceo, il Noviziato e infine i quattro anni per i chierici teologi, che in bicicletta quotidianamente scendono dal Castello e salgono al Seminario diocesano di Venegono Inferiore. Alla direzione di questa grande famiglia di giovani sono posti alcuni sacerdoti che insegnano nelle scuole interne, ma che cominciano a coadiuvare volentieri le comunità parrocchiali di Tradate (con l’ Ospedale), Abbiate Guazzone, S. Anna delle Ceppine, Lonate Ceppino, Locate Varesino, Venegono, Castelnuovo Bozzente, Veniano, Fenegrò, Lurago, Limido, Appiano Gentile, Caronno Varesino, Cassano Magnago, Gorla, Solbiate Arno, ecc.

Chi non ricorda padre Pietro Misani, padre Abramo Balzarotti nel loro apostolato sacerdotale con gli ammalati?Con la nomina a Superiore Generale del p. Giuseppe Rossi nel 1972, l’Istituto Pavoni è, anche se non ufficialmente, centro della Congregazione pavoniana e sede dell’ archivio generale. Dal 1949 fino al 1998 è rimasto il Seminario dei Pavoniani, dal 2000 si entra nel nuovo millennio, con l’ennesima ristrutturazione murale per accogliere le dodici classi della Scuola Media Paolo VI°. Questi brevi cenni non possono riassumere 50 anni di vita e neppure dare l’idea di quello che passa nel cuore e nella mente di ogni pavoniano quando sente nominare "Tradate"! Molti di loro vi hanno passato una vita, è diventato un loro secondo paese, vi hanno imparato a diventare uomini e preti. È questo ancora il servizio che si vorrebbe perpetuare: di educare i ragazzi e le ragazze ai valori umani e cristiani per affrontare con fiducia il futuro del 2000. Quante persone, sacerdoti o laici, pavoniani o amici, ritornano a risalire la serpentina tra il verde che porta al Castello per ritrovare qualcosa della propria giovinezza e riconfermare a quel ricordo le loro scelte di vita cristiana!Tutto è nato dal cuore di un grande uomo e fervente sacerdote, Lodovico Pavoni.

Padre Lodovico Pavoni Educatore 1784 — 1849: così è scritto sull’indicazione civica della via che i Tradatesi, per mezzo dei loro sensibili amministratori pubblici, hanno voluto dedicare a questo personaggio che ormai fa un po’ parte della identità tradatese. Quella aperta al valore dell’educazione giovanile, testimoniata dal Collegio Arcivescovile e dalle Madri Canossiane. È bello che la breve via dedicata a padre Pavoni unisca queste tre importanti realtà educative nel nome di un grande educatore di cui tracciamo un breve profilo. Alla fine del Settecento e in quella parte della Lombardia per tre secoli sottomessa alla Repubblica Serenissima di Venezia e precisamente a Brescia, l’11 settembre 1784 nasce Lodovico Tommaso Maria Giuseppe primogenito del Nobile Sig.r Alessandro Pavoni, e della Nobile Sig.ra Lelia Poncarali. Lodovico fa parte, quindi, del ceto nobiliare, quello che fra poco (nel 1789) sarà travolto in Francia dalla Rivoluzione. Questa passerà in Italia fra una decina d’anni, al seguito del giovane Napoleone, ma le idee lo hanno già preceduto e varcate Alpi corrono per l’Italia, entrano nei salotti nobiliari, accolte con impazienza e entusiasmo dai pochi, dalla curiosità dei più e dal timore di alcuni. I genitori di Lodovico sono tra quest’ultimi, fedeli a una visione politica legata alla decrepita Repubblica di Venezia e a quella religiosa fatta di fedeltà non solo al cristianesimo, ma alla Chiesa Cattolica. I Pavoni sono consapevoli che questo nuovo bambino, al quale affidano soprattutto la loro eredità morale, dovrà affrontare tempi così diversi da quelli in cui è prosperata la loro famiglia. Tutti hanno cura di inculcare in lui "l’attaccamento alla Religione Cattolica Romana, e l’amore e Carità verso i poveri", come raccomanderà il già vecchio padre Alessandro nel suo testamento del 1798. Lodovico è il frutto riuscito di questa educazione che similmente sarà rivolta anche ad altri tre figli (Camilla, Giovanni e Paola). Conosciamo molto poco della sua fanciullezza e giovinezza, ma possiamo dire che probabilmente, secondo l’usanza dei nobili del tempo la sua prima istruzione avviene tra le mura domestiche per mezzo di uno dei numerosi sacerdoti dediti all’insegnamento privato. 

Quindi continua l’istruzione superiore nei Collegi per nobili; dopo la chiusura del Collegio di S. Antonio tenuto dai Gesuiti, soppressi nel 1773, a Brescia ne rimangono due: il collegio Peroni e quello di S. Bartolomeo retto dai padri Somaschi fondati dal "padre degli orfani", San Girolamo Emiliani. Costoro reggono anche l’Orfanotrofio della Misericordia. Forse qui viene ulteriormente coltivata l’inclinazione del giovane Lodovico a dare e a darsi al prossimo. Si racconta, infatti, che i familiari sono obbligati a fornirlo di camicie grossolane invece di quelle più eleganti, dato che lui si spoglia addirittura di quanto ha indosso per offrirlo al bisognoso. La sua carità verso il prossimo è rinvigorita sempre più da una intensa pietà cristiana che si manifesta nell’assidua preghiera (per cui viene ritenuto ‘maturo’ a 11 anni per la Prima Comunione: cosa insolita a quei tempi) e nell’esercizio del digiuno il martedì e il venerdì di ogni settimana. Da adolescente è testimone delle ostilità che la Chiesa bresciana subisce dalla Rivoluzione del 1797; rimane tuttavia fedele ai valori cristiani e cattolici, anzi vuole farsene promotore e a 19 anni sceglie di farsi prete.

Voler servire gli ultimi, rimanendo con la Chiesa Cattolica era diventata ormai una scelta socialmente controcorrente. Così il 21 febbraio 1807 diventa sacerdote, inizia il suo ministero pastorale che lo porta dalle chiese alle piazze e ai crocicchi delle strade dove una turba di nuovi poveri, i ragazzi orfani o abbandonati, frutto delle guerre napoleoniche e della destabilizzazione sociale s’aggiunge ai poveri usuali. Nel 1808, il milanese Gabrio Nava, il nuovo vescovo, porta un vigoroso rinnovamento alla Chiesa bresciana; per collaboratori sceglie anche i giovani preti, tra cui don Lodovico; rimarrà segretario per ben sei anni (1812-1818) di questo illuminato e zelante prelato che chiamerà "mio carissimo padre". Mons. Nava, che nella giovinezza sacerdotale è stato promotore e iniziatore di oratori giovanili a Milano, incoraggia su questa medesima strada alcuni sacerdoti bresciani che l’avevano già intrapresa. Anche il suo segretario è pronto a fondarne e a dirigerne uno che avrà, però, una caratteristica tutta sua: sarà un Oratorio per i ragazzi poveri, quelli, cioè che per "i vestiti laceri" e l’aspetto dimesso avevano vergogna di stare con gli altri ragazzi. Per sei anni l’ Oratorio di S. Luigi diretto dal Pavoni accoglie un numero sempre crescente di giovani fino a duecentocinquanta "de' quali più d'una metà sorpassanti il diciottesim'anno". Accorgendosi però che durante la settimana i suoi oratoriani poveri obbligati a lavorare, nelle botteghe non solo imparano il mestiere ma disimparano le virtù cristiane, dimenticando, tra i cattivi esempi, parolacce e canzonature, quanto nell’Oratorio si proponeva loro, il giovane e coraggioso don Lodovico ha un’intuizione folgorante: darò io il lavoro ai ragazzi, aprirò io delle officine dove imparano non solo un buon mestiere, ma i valori della vita cristiana! Nasce così, dopo tre anni, nell’ex convento degli Agostiniani di S. Barnaba, l’Istituto di Beneficenza di S. Barnaba, o, con originale denominazione, il Collegio d’Arti di San Barnaba. Questa intuizione, che il Pavoni non esiterà a chiamare "celeste" per la chiarezza e l’originalità della proposta di soluzione al problema dell’educazione dei giovani poveri, apre al secolo una nuova strada che tanti dopo di lui (tra cui don Bosco) percorreranno. L’Istituto di S. Barnaba è l’espressione concreta di quello che il Pavoni ha nel cuore e nella mente per i suoi giovani bisognosi: egli è un educatore, soprattutto per i poveri. I poveri devono lavorare per necessità ed egli utilizza il lavoro per educare; le botteghe dell’Istituto sono le aule e i maestri di officina sono gli insegnanti ed gli educatori prima che lavoratori.La decisione di fondare quest’opera assistenziale ed educativa gli prende tutta la vita e incide, quindi, sempre più concretamente nella sua fisionomia sacerdotale. Forse in funzione di questa coinvolgente scelta, nel 1818, conclusa la stretta collaborazione con il Vescovo, viene nominato da quest’ultimo a soli 33 anni Canonico con l’obbligo giornaliero della liturgia corale in Cattedrale ed anche Rettore-Custode della seicentesca Chiesa di S. Barnaba dell’omonimo ex convento agostiniano in cui nel 1821 apre l’Istituto. Questo ambiente relativamente ristretto sarà testimone per 31 anni (1818-1849) dell’ardente e nascosta carità del Pavoni, della sua sapienza educativa, della sua intraprendenza "imprenditoriale" con le sette/otto officine (tipografia, legatoria, cartolaio, calzoleria, falegnameria, tornitore, fabbroferreria, argentiere), delle sue iniziative editoriali, ma soprattutto della sua personale santità e semplicità di vita. Lui di nobile nascita non solo aiuta i poveri, ma si fa povero, donando tutto il suo patrimonio e condividendo totalmente la vita coi i suoi ragazzi. Un esempio così luminoso sarà attrazione per tanti altri che l’ammirano e per alcuni che vogliono condividere la sua scelta di vita.Per allargare ad altri collaboratori questa proposta di educazione e di beneficenza, per salvaguardare i valori e lo stile di vita cristiana dell’Istituto, per diffonderne e per perpetuarne il modello istituzionale dove ce ne sarebbe stato bisogno, egli fonda il giorno dell’Immacolata (8 dicembre) del 1847, una società religiosa, una Congregazione religiosa; i suoi componenti (sacerdoti e laici) uniti dai tre voti (castità, povertà e obbedienza) e dall’ideale evangelico di servire i poveri e dal carisma specifico di educare i giovani, sono chiamati "Figli di Maria Immacolata", ora popolarmente detti "Pavoniani ".

Nell’idea dell’Istituto di S. Barnaba era presente anche quella della Congregazione e il Pavoni, mentre fa da padre ai suoi giovani lavoratori, comincia a formare, tra alcuni di questi, i suoi futuri collaboratori. Nel 1840 inizia le pratiche per l’approvazione ufficiale sia religiosa che civile; la prima viene dal papa Gregorio XVI nel 1843 con la formula "della lode dello scopo", la seconda nel 1846 dall’Imperatore Francesco II da Vienna. Ma per giungere a questi riconoscimenti, quante tribolazioni, quante attese, quante incomprensioni! Effettivamente i dicasteri viennesi si trovano di fronte a un nuovo tipo di Congregazione religiosa che non ha modelli precedenti. La grande novità carismatica e istituzionale di questa sta nella sostanziale presenza dei laici consacrati, detti impropriamente "Fratelli coadiutori". Il fratello laico, infatti, presente da secoli nelle congregazioni religiose composite (sacerdoti-laici), assume nella Congregazione pavoniana una identità nuova; non è colui che aiuta il prete, unico soggetto idoneo a espletare lo scopo della Congregazione, ma è colui che condivide con quello a pieno titolo lo scopo assistenziale ed educativo dell’Istituto. È vero che i pavoniani preti hanno la direzione della comunità religiosa ed educativa, ma l’attività immediata, concreta, specifica

dell’educazione pavoniana (educazione cristiana attraverso il lavoro) è appannaggio del laico consacrato. Se, infatti, per malaugurata ipotesi venisse meno nella Congregazione dei Figli di Maria Immacolata la figura del "fratello" laico consacrato, cambierebbe la sua identità, così come la volle il Pavoni. Non sono passati due anni dalla desiderata nascita della Congregazione che il Fondatore muore il 1° Aprile 1849 sul "Calvario" di Saiano nella Franciacorta a 12 chilometri da Brescia, dove aveva portato in salvo i suoi ragazzi dal furore della repressione austriaca nelle X giornate di Brescia; spossato dalla fatica, ma sereno nel futuro che egli sa nelle mani di Dio.

Muore Brescia e muore il Pavoni, ma ambedue per valori che non possono morire: la libertà, la carità. Passate le gloriose e tragiche X Giornate, la città accoglie le spoglie del "Padre dei giovani poveri" e si raccoglie attorno ad esse che come seme di una perenne vitalità riposano ora nel santuario dell’Immacolata.I pochi superstiti (sei in tutto) dovranno affrontare i gravi pericoli per la loro sopravvivenza: morte del successore del Pavoni (18.9.1850), crisi interna (1855), scissione nel ramo bresciano e ramo veneto (1857), soppressione civile della Congregazione (7.7.1866) scioglimento religioso del ramo bresciano della Congregazione (12.8.1874). Il ramo veneto dopo il 1866 passerà nel Tirolo italiano (Trentino) e qui, ad Ala (1869), provvidenzialmente si ricomporrà la Congregazione dei Figli di Maria Immacolata. Da qui ritorneranno nel Veneto (Bussolengo 1880) e in Lombardia (Monza: 1873, Milano:1873, Soncino: 1890, Pavia: 1892, Brescia: 1912, Tradate: 1949). Questa meravigliosa avventura umana e cristiana iniziata duecento anni fa dal cuore dell’umile e grande padre Pavoni, ha nel suo ricordo, nel suo esempio e nella sua intercessione la fonte della propria perennità.


p. Roberto Cantù